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Ho sempre pensato che la fotografia di ritratto prendesse forma attraverso due momenti distinti e autonomi, l’atto del fotografare e l’atto del posare, o come mi piace di più, l’atto di sentirsi liberi di essere se stessi.
Fino a quando non ci sono finito io dall’altro lato della macchina fotografica, e allora ho iniziato a capire che non è proprio così, anzi è l’esatto contrario. Dal momento stesso in cui prendi in mano lo strumento a quando l’otturatore scatta, succede qualcosa che assomiglia tanto ad una connessione spirituale, gli sguardi che si cercano attraverso l’obiettivo, le parole di conforto e di consiglio, l’attesa vibrante prima dello scatto, si stabilisce più di una interazione, ma un vero contatto tra i due. Lo immagino come un sottile filo di energia palpitante che unisce e al contempo stimola e fa scaturire l’atto creativo.
Credo di poterlo associare in qualche modo anche al legame che si crea tra il regista e l’attore, che gira intorno alla creazione di una scena, ma a differenza della regia qui l’arte scaturisce istantaneamente e spontaneamente dal legame tra me e la persona che fotografo, senza una sceneggiatura, senza un percorso prestabilito. Certamente ci sono aspetti che si possono, e a volte si devono programmare, come l’obbiettivo degli scatti, il luogo, l’orario e l’illuminazione, ma quello che succede poi sul posto

e il risultato sono inediti e legati a questa danza di cui vi parlo.
Questo sottile filo di energia palpitante, così l’ho chiamato, tuttavia cambia e si trasforma nel corso dell’incontro, all’inizio vince l’imbarazzo e il disagio. La pressione per la performance e l’aspettativa fanno la loro parte, lo vedi dai lineamenti tirati, dalla posa rigida, dai movimenti repentini e insicuri di chi è fotografato e di rimbalzo, come per magia, anche la mano che regge la macchina fotografica si irrigidisce, l’occhio non sta dietro al soggetto e cambia prospettiva in continuazione.
Ma poi ecco che con poco cambia tutto, con una parola di conforto, uno sguardo di intesa e di incoraggiamento, un consiglio, il tono della voce adatto. Un bravo fotografo è capace di aiutare la persona che fotografa ad immergersi nel suo stesso mondo, o se necessario a crearlo per lei, scomparendo e allo stesso tempo restando presente per sorreggerla e guidarla.
Fino a quando non si muove da sola, e così anche lui può sentirsi più libero e muoversi agilmente per raccogliere gli attimi più personali della sua intimità, il sottile filo di energia palpitante è carico.E’ un equilibrio delicato e potente, che ha il potenziale di far scaturire l’anima del soggetto, se solo si raggiunge la perfetta sintonia.
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Qualche tempo fa ho partecipato ad un corso di fotografia. Osservandola da lontano, mi rendo conto di quanto questa esperienza sia stata per me formativa e sorprendente, perchè in effetti le devo il merito di aver acceso in me il piacere e lo stimolo per la fotografia di ritratto.
Il corso ha toccato molti argomenti, dalla semiotica dell’immagine, agli schemi di illuminazione nei set fotografici, alla fotografia still life, ma il momento più magico per me è stato preparare il portfolio che ci è stato assegnato come conclusione del percorso.
Dovevamo raccontare una storia con l’aiuto di sole quattro fotografie, legate insieme da un filo narrativo che avrebbe introdotto, svolto e concluso un tema. E qui viene il bello, ad ogni studente è stato assegnato a sorte uno tra i sette peccati capitali. Io ho estratto la superbia.È passato quasi tutto il corso prima di essermi deciso a trovare una narrazione, un’ ambientazione e magari anche un soggetto. Mi ero ostinato a voler trasmettere una morale, non limitandomi a raccontare la superbia o a mostrarla in azione, volevo dimostrare quanto fosse effimera e vuota diversamente dalle apparenze, volevo prendermi gioco di lei.
Ho capito che avevo bisogno di una persona affascinante, capace di comunicare e di mostrarsi con esuberanza e con passione, di un abbigliamento e di accessori appariscenti, tutto doveva ostentare sicurezza e savoir-faire. La mia storia doveva essere ambientata all’aperto, magari in un posto suggestivo, scaldata dalla luce del tramonto, nell’atmosfera sospesa che tutto tinge di quello stato d’animo malinconico che anticipa la conclusione di qualcosa.
Ho scelto Sofia, l’ho portata a Urbino, nel mio posto del cuore, ho chiesto in prestito a mio padre la decappottabile, che in quell’ora di viaggio mi ha fatto perdere almeno due anni di vita in apprensione, ho aspettato fino a quando i raggi del sole non si sono tinti di arancione e di oro e abbiamo iniziato a raccontare la storia.Superbia II
Ora ti vedo giovane fanciulla, sei elegante e raffinata.
Seduta sulla tua macchina di perla, sai che non c’è nulla che non ti meriti di avere ,
nessuno che possa dirti come comportarti, perché hai tutto. Sei tutto.
E se respiri a fondo lo puoi sentire il profumo della grandezza.Superbia IV
Dove sei mia dolce fanciulla?
Non ti vedo più, ti ho persa nell’immensità di questo tramonto.
Però da qui vedo tutto, gli alberi, le colline, quell’antico monastero sul crinale della collina,
e vedo il cielo. Forse non ho bisogno di altro. -
Se dovessi spiegare a qualcuno in maniera razionale cosa significa per me l’atto di fotografare probabilmente mi perderei in un bicchier d’acqua, tentando inutilmente, come mio solito, di dare forma e ordine a quello che in realtà considero un impulso. Non saprei come altro spiegarlo, quando ho in mano la macchina fotografica non credo di pensare, piuttosto acuisco i sensi, osservo, mi muovo, comprendo quello che ho davanti e quando arriva il momento giusto scatto. Ma non lo trovo affatto un meccanismo razionale, almeno non lo è per me. Lasciamo perdere tutti gli aspetti tecnici e di regolazione dello strumento, sto parlando dell’atto.
Cerco di spiegarmi meglio.

Passo di Monte Carpano, Bagno di Romagna Se avete mai fatto trekking sapete che in mezzo al bosco ci sono dei simboli che identificano il sentiero, sono colori ben riconoscibili ma talvolta rovinati e sbiaditi, non è così semplice come sembra localizzarli, quindi si osserva con la massima concentrazione la vegetazione, passando da un tronco all’altro, bramosi di percepire il rosso, il blu o il giallo. Quando finalmente si distingue il colore da quelli del bosco la reazione è impulsiva, lo si percepisce prima di vederlo sul serio, si prova sensibile eccitazione e si punta il bersaglio per evitare di non perderlo.
Non so quanti di voi passeggino nel bosco, ma per me è così lo scatto, è elettricità, è impulso che nasce da dentro, che se potesse mi farebbe scattare con un battito di ciglia, qualcosa che si avvicina ad una necessità impellente. Dura poco, un attimo, un istante, si conclude con il sonoro scatto dell’otturatore.

Passo di Monte Carpano, Bagno di Romagna



